C’è stato un periodo in cui scattare una foto era un evento. Momenti importanti, cerimonie, vacanze. La macchinetta custodita gelosamente nel suo astuccio, la posa e poi lo scatto. Il clunc dell’otturatore. E poi l’attesa. I più zelanti portavano subito a sviluppare il rullino, per altri potevano passare i mesi, anni. La cosa più emozionante, come un regalo inaspettato, era la sorpresa delle foto stampate, da sfiorare, commentare, riporre negli album, incorniciare. I più agiati avevano anche la Polaroid, con la stampa immediata, mentre gli esperti si cimentavano con diapositive e proiettori, ma il declino di quel formato fu quasi immediato. Poi sono arrivate le prime macchinette digitali e gli smartphone, e le foto sono diventate puri file, immagini in schermi luminosi totalmente impalpabili. Così un momento unico (e costoso) come l’atto del fotografare è diventato un atto quotidiano per masse di persone telefono-munite; e se non si scatta per immortalare qualcosa di bello da condividere sui social, si scatta per non dimenticare: foto di cartelli, numeri utili, referti, piatti e vetrine, screenshot di altre foto e dialoghi su whatsapp. Il vecchio spot Kodak "Ricordati di ricordare” torna dunque attualissimo. Ma in questo bombardamento visivo continuo, in cui tutti sono fotografi di sé e del mondo che li circonda, ha ancora senso parlare di fotografia come linguaggio artistico? Io credo di sì. Perché come per tutte le cose, c’è la paccottiglia e la qualità, c’è l’alto e il basso, ci sono le foto stereotipate dei tramonti, gli spaghetti e i selfie, e poi c’è la potenza di un’immagine pensata e scattata con criterio. La Fotografia non muore nell’omologazione delle immagini, ma anzi ritrova la sua straordinarietà. Questa newsletter è dedicata a lei.
un libro: LA CAMERA CHIARA
Il libro di questa settimana è il saggio più amato di sempre dai fotografi. Me lo consigliò il mio mitico prof. Servisole al liceo e credo sia stata una delle letture più importanti per la mia adolescenza. “La Camera Chiara” è stato scritto da Roland Barthes nel 1980, pochi mesi prima di morire, ed è un testamento penetrante sul mondo delle fotografia, su questo medium bizzarro, sul linguaggio espressivo che “non è altro che un canto alternato tra - Guardi! - Garda - Ecco qua”. Un omaggio a “Immagine e coscienza” di Sartre con spunti illuminanti, in quel percorso magico che va dallo scatto di una foto all’effimero dei nostri tempi.
un film: BLOW UP
Anni ’60, Londra, Antonioni e una storia tra fotografia e mistero. Non vi scriverò la trama, per quella basta aprire Wikipedia, ma vorrei consigliarvi questa perla del cinema italiano per due semplici motivi. Uno: è un capolavoro. Due: è un capolavoro. Dimenticate le tristezze narrative delle fiction e dei film contemporanei, i dialoghi stanchi, i plot stereotipati delle serie netflix, puntate che hanno il potere di farvi addormentare di colpo in dieci minuti. Regalatevi un momento di puro Cinema, un film denso di significato, immagini poderose e raffinatezza narrativa (è disponibile a pagamento sulle piattaforme Tim Vision, Apple Tv, YouTube e Google play).
un’opera: BETTY
Ma cos’è? E’ una foto o un quadro? E’ un ritratto o cosa? “Betty”, dipinto nel 1988 da Gerard Richter (l’artista vivente più quotato al mondo) è un’opera meravigliosa che unisce la forza della fotografia alla morbidezza della pennellata ad olio. Quest’immagine monocromatica nasce infatti da una fotografia di sua figlia Betty, la ragazzina che si volta, si allontana dallo spettatore, e rifiutandolo, lo attira sempre di più. L’opera è custodita dal Saint Louis Art Museum in Missouri.
Ne approfitto per augurarvi un buon fine settimana, Maddalena
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