top of page
Search

Senza memoria non c’è futuro


Ho pensato a lungo all’argomento di questa newsletter, e alla fine ho deciso. E’ vero, la Giornata della Memoria era ieri, ma credo che per gli argomenti importanti non ci sia un solo giorno giusto per parlarne. Dunque questa letterina parlerà di memoria, di guerra, di morti, di deportazioni e sterminio, per rispondere ad una duplice necessità: la prima, quella di non dimenticare. La seconda, quella di reagire ad un sotterraneo ma sempre più diffuso negazionismo dell’Olocausto e antisemitismo. Abbiamo visto striscioni con scritto “la Shoah è una truffa”, abbiamo assistito a cerimonie dell’estrema destra col saluto fascista, abbiamo visto un bambino picchiato ai giardinetti da delle ragazzine al grido di “ebreo, devi bruciare nel forno anche tu”. Questo non è accettabile. Serve quindi ricordare, ricordare, ricordare. Perché senza memoria non c’è futuro. E se nei programmi di scuola abbiamo imparato tutto sugli Assiri e i Babilonesi, ma raramente siamo arrivati a finire la seconda guerra mondiale, rileggiamoci un libro. E se non abbiamo più nonni che ci raccontano le storie della guerra, guardiamoci un documentario, un bel film. E se certi argomenti sono impegnativi, perché ci pongono davanti alla malvagità dell’uomo, non ci arrendiamo. Coltiviamo la nostra memoria collettiva, conserviamo le lezioni del passato, ricordiamo cosa è stato l’Olocausto, capiamone i meccanismi più profondi. Affinché, anche se in forme diverse, certi orrori non accadano più. “Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo.” Primo Levi



un libro: LA BANALITÀ DEL MALE

Hannah Arendt, una delle più grandi filosofe del Novecento, pensatrice politica acutissima, nel 1961 va a Gerusalemme come inviata del “The New Yorker” per assistere al processo di Otto Adolf Eichmann, criminale nazista catturato a Buenos Aires, considerato il “burocrate dell’Olocausto”, uno dei maggiori responsabili della macchina della morte del Terzo Reich. Dal resoconto di questo processo che ha segnato la storia, nasce il saggio “La banalità del male”, una testimonianza sconvolgente. La Arendt passa continuamente dalla cronaca giudiziaria alla dissertazione filosofica, ponendosi e ponendoci tante domande: c’è capacita di pensiero individuale nell’omologazione di un regime? Fino a che punto è giusto obbidire? I carnefici nazisti hanno una coscienza? E’ possibile distinguere il bene dal male? Queste e mille altre domande, queste e mille altre questioni ancora aperte. La linea difensiva di Eichmann fu sempre la stessa: io non potevo decidere, io firmavo solamente le carte, io non ho mai ucciso nessuno. L’oscuro ragioniere agiva dunque per senso del dovere, così ligio da organizzare deportazioni di massa e lo sterminio sistematico degli ebrei in Europa. Il trionfo della banalità del male, appunto. Il processo si concluse con la condanna a morte e “Adolf Eichmann andò alla forca con gran dignità”. Ma un’ultima domanda possiamo porci, per noi allievi di Cesare Beccaria: qualsiasi siano le sue colpe, c’è giustizia nell’impiccagione di un imputato?



un film: IL PIANISTA

Mentre le bombe tedesche cadono su Varsavia, il pianista ebreo Wladyslaw Szpilman sta suonando il notturno in C diesis minore di Chopin per la radio locale. E’ la sua ultima trasmissione. Dopo arriva l’occupazione nazista, la vita nel ghetto, la fame, le deportazioni e la fuga. Quella de “Il Pianista” è la storia straordinaria di un sopravvissuto, una storia vera raccontata in un libro e diventata poi un film, il capolavoro di Roman Polanski con Adrien Brody (nel 2002 ha vinto la Palma d’Oro a Cannes e nel 2003 tre Premi Oscar). Ecco, questo racconto drammatico, fortissimo, di un uomo solo che lotta per non morire, è forse uno dei più interessanti per capire cosa fu la seconda guerra mondiale, quanto il nazismo cambiò le persone e il concetto di vita stessa. Il Pianista è un film perfetto per coltivare la memoria e non voglio dire di più. Chi l’ha già visto credo non possa che condividere quanto scritto. Per chi invece non l’avesse ancora visto, consiglio di recuperarlo subito (è disponibile su Netflix).



un’opera: YAD VASHEM

Yad Vashem, un monumento e un nome, è il museo sull’Olocausto di Gerusalemme “un luogo per documentare e tramandare la storia del popolo ebraico durante la Shoah, preservando la memoria di ognuna delle sei milioni di vittime”. Un luogo per non dimenticare. Il memoriale è stato disegnato dall’architetto Moshe Safdie, realizzato completamente in cemento armato, fatto di gallerie asimmetriche dove perdersi per trovare pezzi di storia. La struttura è irregolare e si inserisce nella montagna come una lancia, come “una ferita nel cuore di Israele”. Lo spazio che ci fa piombare nel dolore più profondo è la Sala dei Nomi, un cono sotterraneo che porta alla luce, una cupola ricoperta di foto e lapidi simboliche, l’archivio di tutte le vittime della Shoah. Prigionieri con un volto, finalmente. Il database è in continuo aggiornamento, qui potete consultarlo liberamente https://yvng.yadvashem.org/.

Ne approfitto per augurarvi un buon fine settimana, Maddalena


Comments


bottom of page